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Il nostro principale strumento di lavoro è la narrazione, che utilizziamo essenzialmente in due modi: con l’editoria sociale, come momento di socializzazione di storie e riflessioni; con la socioanalisi, come metodo di intervento nelle istituzioni e nei gruppi sociali.
Il carattere socializzante dell’editoria è emerso quando, nel 1990, abbiamo pubblicato Nel bosco di Bistorco. Nelle bandelle della prima edizione, gli autori, reclusi, avevano chiesto ai lettori di raccogliere materiali sulla loro personale e particolare difficoltà a vivere. La risposta è stata così corposa da indurci ad allestire l’Archivio di scritture, scrizioni e arte irritata, che nel corso degli anni ha raccolto oltre seicento opere, tra disegni, dipinti, manoscritti, quadri, diari e quaderni.
L’uscita dalla solitudine sociale nella quale questi materiali erano stati prodotti ci ha sollecitati a immaginare le mostre itineranti, per i materiali dell’Archivo e, dal punto di vista editoriale, le pubblicazioni come momenti di confronto e come proposte di una nuova cultura delle relazioni.
La narrazione lavora nella società, producendo cambiamenti nell’immaginario sociale e individuale. L’immaginario infatti costituisce la prima e più efficace arma nelle mani dei poteri dominanti.
A partire quindi dalla constatazione che la narrazione non è indifferente al cambiamento della prospettiva con la quale si guarda alla propria realtà e a quella che ci circonda abbiamo aperto la collana Ospiti, uno spazio destinato ad ospitare storie, riflessioni, esperienze diverse dalle nostre e capaci di portare nella società messaggi interessanti, diversi da quelli dominanti. Un percorso che, iniziato con tre collane nei primi anni Novanta – collana Verde, collana Azzurra e Nodi -, è poi confluito nella collana Ospiti.